Nato nell’antico Egitto, il cappello, dal latino ‘cappellus’, piccola cappa atta a riparare il capo, passa per la Grecia, per l’Asia, fino ad arrivare in Europa.
È curioso l’utilizzo di questo accessorio, che inizialmente funge da strumento riparatore, ma ben presto diventa un forte simbolo culturale, che colloca al di sopra chiunque lo indossi. Diventa, così, espressione di creatività e originalità, di appartenenza ad un ceto sociale elitario, per i materiali pregiati con cui era fatto.
Si va dal feltro di lana al pelo di castoro del re Carlo VII, dalle piume ai nastrini alle fibbie, dalle parrucche cotonate al cappello a tre punte seicentesco di Luigi XIV.
L’800 è il secolo del cilindro maschile e della paglia toscana femminile, ma ben presto è Alessandria con Giuseppe Borsalino a spostare l’epicentro della produzione manifatturiera del cappello.
L’arte del copricapo si diffonde a macchia d’olio in tutta l’Europa e nei primi anni del XX secolo la produzione di cappelli rappresenta un ramo importante dell’economia italiana, un vanto Made in Italy che incornicia i volti più disparati, simbolo di eleganza e prestigio sociale.
Ancora oggi, sebbene il mercato del cappello rappresenti una fascia di nicchia, non si è perso il suo fascino.
Una buona parte dell’intera produzione mondiale avviene in Italia, nelle Marche, nel paesino di Montappone (Fermo), che vanta il prestigioso ‘Museo del Cappello’ e che accoglie il ‘Fashion Internazionale del Cappello’, l’evento che vede come protagonista questo accessorio che ha fatto la storia.
Che sia a falda larga piuttosto che stretta, con la visiera o a cuffietta, in feltro o in paglia, lunga vita al cappello!
Ph Veronica Galosi